Sport infiammazione e pasta

17.04.2019

1.1 Le necessità di uno sportivo.

Se negli anni 90” l’imperativo nel mondo dello sport era incrementare la performance e basta, oggi, all’alba del secondo decennio del nuovo millennio, la ricerca si è spostata sulla riduzione dei tempi del recupero post allenamento e post gara per l’atleta, dopo decenni spesi a rincorrere la massima prestazione si è capito che una performance particolarmente intensa provoca una sorta di debito nell’atleta, che riguarda in prima istanza i tempi necessari al recupero biologico sia in termini di stoccaggio del glicogeno muscolare, sia in termini di rigenerazione dei danni tissutali.
La figura mostra come la percorrenza di 16 km al giorno comporti la riduzione delle riserve di glicogeno muscolare. Viene evidenziata la necessità di riposare 2 giorni per ricaricare le scorte di glicogeno perse.

I dati in possesso della comunità scientifica mostrano infatti, in modo inequivocabile, che nel calcio, così come in altri sport, ad aumentare non è il volume (distanze percorse in campo), ma l’intensità con cui queste distanze vengono percorse attraverso accelerazioni ed il numero delle stesse.  Le strategie messe in atto oggi per verificare lo stato di salute ed il “potenziale di performance” sono altamente evolute, si passa dal monitoraggio della qualità del sonno, attraverso strumenti in grado di produrre uno sleep score, che possano consentire di “manipolare” la qualità del recupero notturno, a tecniche criogeniche, che portano l’atleta per circa 2’ a -150° C dopo gli sforzi fisici; tecniche di psicoterapia per lavorare sulle energie nervose, integrazione di molecole con attività rigenerativa; insomma, oggi la gamma di strategie è molto ampia.

1.2 Il concetto di infiammazione nello sport

I processi infiammatori sono alla base della rigenerazione dell’organismo, il loro innesco è fondamentale per permettere ai tessuti di essere rigenerati. La doverosa premessa ci deve far riflettere sul ruolo funzionale dell’infiammazione che non può essere totalmente soppressa, in quanto il suo manifestarsi ha un ruolo biologico importante nei processi di rimodellamento tissutali, non solo quest’ultimi. Piuttosto si tratta di manipolare l’infiammazione, in quanto il nostro corpo, nella complessa organizzazione di segnali biologici, produce una serie di interleuchine, che attivano e disattivano reazioni che tendono ad una finalità omeostatica (omeostasi = equilibrio, condizione in cui si può dire che il corpo è in salute). Purtroppo, però esistono fattori confondenti riguardo quella che dovrebbe essere una perfetta sincronia biologica messa in atto dal nostro organismo; tra i principali fattori confondenti ci sono stimoli allenanti che vanno al di là, per un motivo o per l’altro, della capacità dell’organismo di assorbirli, un altro aspetto è legato ad un’alimentazione scorretta (qui si apre una parentesi enorme). Oggi, per esigenze di focus ci concentreremo sul ruolo della pasta nell’infiammazione in ambito sportivo e non solo. 
Nella figura 2 si mette in evidenza come l’esercizio moderato e costante nel tempo possa innescare risposte positive per la salute dell’organismo. Al contrario l’esercizio incostante e strenuo può innescare una serie di risposte biologiche dannose alla salute del nostro organismo

1.3 Pasta ed infiammazione; dalla storia del frumento alla condanna del glutine

A lungo si è dibattuto, ed ancora si dibatterà sul ruolo della pasta nell’infiammazione, non tanto in relazione ai nutrienti contenuta in essa, nemmeno riguardo alle calorie fornite dall’alimento in questione. Sul banco degli imputati sale il glutine quest’oggi. Si tratta davvero di una proteina così nociva per l’essere umano? Le diagnosi di celiachia sono esponenzialmente in aumento, si tratta sempre di celiachia? Recentemente si parla di intolleranza al glutine e sensibilità al glutine; di cosa si tratta in questo caso? Scansiamo i convenevoli per un attimo, convenevoli che solitamente vorrebbero che ci si concentrasse sugli errori alimentari macroscopici commessi da atleti, amatori e sedentari, in quanto rappresentano le principali cause di infiammazione intestinale, per concentrarci su qualcosa di più sofisticato. Non tutti i cereali sono uguali, questo è un dato di fatto, non tutti hanno le medesime proprietà nutrizionali e anche questo è un altro dato di fatto. Dire che però che ci siano diversità per quanto riguarda la sola specie botanica frumento è più difficile da comprendere perché agli occhi del consumatore il frumento è uno soltanto, ignorando l’esistenza di cultivar diverse all’interno dello stesso segmento botanico. Si, certo, magari è facile capire che ci possano essere differenze tra BIO e non, ma resta meno chiaro il concetto nebuloso dei grani antichi, antichi quanto? Cosa vuol dire antichi? Forse sarebbe meglio parlare di grani autoctoni, figli delle biodiversità territoriali che hanno permesso una selezione naturale di specie mutate capaci di crescere ad esempio anche su altopiani. Per comprendere meglio ciò che ho appena affermato devo rispolverare qualche nozione di storia, prometto di essere breve. La selezione di queste specie botaniche ha avuto certamente accelerazioni legate alla “fame” ossia all’aumento demografico che la popolazione europea ha subito in alcune epoche storiche. Tutti a scuola abbiamo sentito parlare di crisi del 300’, vi ricordate di cosa si tratta e cosa ha comportato? E per quale motivo questo argomento potrebbe riguardare questo articolo? Per secoli nel medioevo si è dato da mangiare a sempre più gente allargando i campi, abbattendo foreste e dissodando la brughiera. All’inizio era facile perché nell’alto medioevo, dopo le invasioni barbariche la gente era poca e la terra era tanta, poi si è fatto più difficile perché la popolazione è progressivamente aumentata, complice il periodo di prosperità medievale e la limitata proliferazione delle malattie epidemiche. Si arriva ad un punto in cui la terra da dissodare finisce, le tecnologie per aumentare la produzione non evolvono e la gente comincia ad avere fame. Tutto il 300, e oltre, vede il prezzo del grano subire variazioni notevoli a causa dell’alternanza della bontà dei raccolti. Questa discontinuità produttiva è dovuta, tra l’altro, al fatto che a partire dalla metà del XIV secolo ha avuto inizio un’epoca di forti cambiamenti climatici, c’è stato molto freddo in inverno, con torride siccità nelle estati.
Nella figura 3 l’illustrazione descrive il periodo storico tra il XVI e il XIX secolo. I lunghi periodi di gelo portarono la città di Londra a organizzare delle Fiere del ghiaccio lungo il fiume Tamigi, i Thames Frost Fair (in un'immagine del 1683-84)
 
Mercalli ha definito questo periodo la piccola era glaciale; in inverno il Tamigi gelava a Londra e la Senna gelava a Parigi. L’esplosione demografica sarà poi minata nel 1347/48 da una terribile malattia, la peste, un male inarrestabile che non si vedeva da molti secoli prima, che nella metà del 300 mieterà circa metà della popolazione europea. Mi scuso per questo breve passo di storia, ma gli eventi del 300 ci permettono di capire come l’uomo, in epoca medievale, abbia spinto il frumento, probabilmente non solo quest’ultimo, ad un’accelerazione evolutiva botanica con la finalità di adattarlo ai terreni in cui veniva coltivato, generando quindi una serie di mutazioni (ambiente – dipendenti) naturali, seppur forzate. Nei primi del 900 fu l’agronomo Nazzareno Strampelli  a velocizzare la naturale selezione biologica delle specie attraverso ibridazioni botaniche artificiali. Fino a qui però si tratta di selezione più o meno naturale della specie, dove al massimo la sapiente opera di un agronomo ha potuto incidere. Ma come nel 300, anche ai giorni nostri la popolazione mondiale ha subito un forte incremento, solo che al contrario di allora la tecnologia, attraverso la nota “rivoluzione verde” ha permesso di ottenere manipolazioni genetiche del grano aumentandone la resistenza agli agenti climatici avversi e incrementandone drammaticamente la produttività; ma a quale prezzo? Tra gli anni 50 e 60 c’è stata una drastica riduzione della varietà di cultivar a favore dello sviluppo di un super grano, che ha permesso di produrre più delle varietà antiche ma ha comportato degli aspetti negativi che non sono stati individuati immediatamente dalla comunità scientifica, ancora oggi ci sono delle difficoltà nel comprendere appieno come questo grano “tecnologico” possa comportare tali disagi alla prosperità della salute umana. Resta incontrovertibile che questo grano mutato abbia comunque salvato la vita a milioni di persone, ma non è questo il tema che voglio trattare in questa disamina, non per mancanza di sensibilità, piuttosto per finalità dell’articolo. 
Nella figura 4 Nazzareno Strampelli “A Camerino, sin dal 1900, praticai l’ibridazione del frumento Noè con il Rieti. Mi prefiggevo di ottenere un frumento resistente contemporaneamente all’allettamento ed alla ruggine, per avere una varietà adatta ai terreni del Camerinese […] ove per elevata fertilità il Rieti corica sempre, ed il Noè, che non corica, a causa delle abbondanti nebbie, è fortemente danneggiato dalla ruggine” (Citazione: Fonte Dario Bressanini)
 
 
Figura 5 tratta dall’articolo: Ancient Wheat species and human health: Biochemical and clinical implications
 
L’immagine sopra riportata mostra chiaramente come i grani antichi siano più interessanti, dal punto di vista nutrizionale, di quello moderno. Tra i grani antichi particolarmente diffusi si trova il Khorasan (noto come Kamut) e il Senatore Cappelli. I grani antichi danno maggior senso di sazietà attraverso un miglior controllo di glicemia e conseguentemente controllo insulinico. La maggior presenza, nel germe, di acidi grassi insaturi sembra mostrare effetti positivi sui livelli circolanti di colesterolo “cattivo” LDL. La maggior presenza di minerali rappresenta un ulteriore vantaggio in termini di capacità nutritive dell’alimento. Infine, la presenza di fito nutrienti a valenza antiossidante innesca una serie più o meno complessa di reazioni capaci di contenere lo stress ossidativo ed il conseguente rischio di infiammazione dell’organismo umano. 
Detto questo vorrei sottolineare che la bontà delle specie autoctone deve trovare, nella pastificazione, un certo rigore tecnologico. Faccio riferimento, ad esempio, all’essicazione lenta che deve subire la pasta nel processo di preparazione industriale. Produrre pasta a bassa temperatura protegge la stessa dalla formazione di AGEs, sostanze tossiche, pro-ossidanti che contribuiscono ad accelerare i processi degeneravi legati all’invecchiamento. 

Ulteriori studi sono in atto per confermare quanto appena descritto. 
 
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